Si differenzia dalla fantascienza, perché riguarda sempre fatti del passato e non ricorre, di norma, ad artifizi per modificare la storia. Le mutazioni descritte devono avere un grado accettabile di probabilità di verificarsi. L'ucronia può descrivere il momento in cui la storia muta o gli effetti di questo mutamento.”
Non si può dire che “Darwinia”, il romanzo di Robert C. Wilson, pubblicato per la prima volta nel 1999, rispecchi in pieno questa definizione.
La narrazione si svolge in quattro epoche storiche: 1912, 1921,1945, 1965 con un epilogo nel 1999.
Non c’è dunque dubbio che tratti fatti “storici” antecedenti alla sua stesura. Se dunque “1984”, il romanzo di Orwell, non può essere considerato un’ucronia (ma una distopia), narrando di un futuro ipotetico (essendo stato scritto nel 1948), questa obiezione non vale per “Darwinia”.
Non solo: gli eventi ucronici descritti si differenziano dalla realtà conosciuta perché nel 1912 è successo qualcosa che ha cambiato il mondo, ma questo qualcosa si è generato in una remotissima preistoria. È li che dovremmo collocare la divergenza allostorica.
Nel 1912 l’Europa viene cancellata e sostituita da un mondo alternativo in cui tutta l’evoluzione del pianeta ha seguito un percorso diversissimo, con una divergenza presumibilmente da collocarsi in corrispondenza della comparsa dei primi insetti sulla terra (probabilmente 225 milioni di anni fa, se sono vere le recenti teorie che ne vedono l’apparizione 100 milioni di anni prima delle angiosperme).
Si può parlare dunque di ucronia preistorica (o “preucronia”, termine da me coniato in precedenza) come per “Il libro degli Ylané” di Harrison, “Il mondo perduto” di Conan Doyle o “Viaggio al centro della terra” di Verne.
Quello che Wilson descrive è, tra le altre cose, la reazione del resto del mondo a questo misterioso sconvolgimento, con pesanti impatti sulla religione e la scienza, al punto che il mutamento verrà definito “Miracolo”.
Di Miracolo però non si tratta, ma di una tecnologia evolutissima (al lettore scoprire cosa sia successo).
Bisogna dire, dunque, che un qualche artifizio qui è stato usato. Non una macchina del tempo (il cui uso fa di solito propendere per un’esclusione dal campo ucronico), ma l’ipotesi di una civiltà superiore che governi l’universo.
Se dunque l’allostoria è sempre in precario equilibrio tra romanzo storico e fantascienza, qui si può dire che Wilson, ancor più di Turtledove con i suoi alieni che interrompono la Seconda Guerra Mondiale, ci sta portando nel mondo ipotetico della fantascienza.
Quando al grado accettabile di probabilità di verificarsi, beh, credo che dovremmo mettere una lunga serie di zeri dopo la virgola!
Fantascienza o ucronia che sia, questo è comunque un romanzo affascinante, soprattutto perché ci mostra l’uomo impotente davanti alla vastità e inesplicabilità della Natura, l’uomo che arranca e fatica a capire, ma non si arrende. Il protagonista Guilford si pone allora sulla scia di Robinson Crusoe, mentre attraversa le foreste aliene dell’Europa rinnovata, è un naufrago volontario su un continente intero, uno straniero nella culla dell’umanità resa all’improvviso il luogo più selvaggio e inospitale che si possa immaginare.
Wilson coniuga dunque con maestria la miglior avventura con i grandi quesiti del “se”, interrogandosi, con la leggerezza dei grandi narratori, sulla religione, la politica e il senso dell’esistenza dell’umanità. Tutto questo creando un mondo alternativo trai più fantasiosi e originali che siano stati mai prodotti.
Firenze, 29/06/2010
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